ROMA: OMICIDIO MOLLICONE, LA PORTA NON È L’ARMA DEL DELITTO

Continua IL DUELLO TRA I PERITI COINVOLTI NEL PROCESSO CHE DOVREBBE FARE FINALMENTE LUCE SU UN OMICIDIO CONSUMATO NEL 2001, QUELLO in cui è stata vittima Serena Mollicone. Nella nona udienza presso la Corte d’Appello di Roma, è stato ribadito, da parte della difesa della famiglia Mottola, i cui componenti sono presunti responsabili della morte della ragazza, che la porta dell’appartamento della caserma dei carabinieri di Arce, presunto luogo in cui avvennero i fatti, non sarebbe l’arma dell’omicidio. Serena Mollicone era alta 1,55. Il segno sulla porta della stazione dei carabinieri è ad una distanza da terra di 1,54. Non può essere stata a determinarne la morte.

Il criminologo ha spiegato le ragioni della difesa nell’udienza del processo davanti la Corte d’Assise d’Appello di Roma. In aula erano presenti quattro dei cinque imputati: il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce, il figlio Marco e i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Assente la moglie del maresciallo, Annamaria Mottola. Tutti sono stati assolti in primo grado.

La dottoressa Cattaneo del Labanof di Milano sostiene invece che la frattura sulla porta è all’altezza di 1,54 da terra e che ciò coincide con l’altezza approssimativa di Serena che sarebbe stata sbattuta contro la porta. Dopo 23 anni si cerca di far luce sull’omicidio di Serena Mollicone che all’epoca dei fatti era una studentessa di 18 anni. La criminologa Roberta Bruzzone torna a parlare del caso.

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