Dopo 20 anni di indagini, colpi di scena e archiviazioni si cerca finalmente di mettere un punto fermo sul delitto di Arce, l’omicidio di Serena Mollicone, l’allora 18enne uccisa nel giugno del 2001. Dopo la prima udienza lampo del 19 marzo scorso si parte sul serio, venerdì 16 aprile. Alla sbarra cinque imputati, l’ex maresciallo dei carabinieri, allora comandante della caserma di Arce Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria.Il maresciallo dei carabinieri Vincenzo Quatrale che condivide con la famiglia Mottola l’accusa di concorso in omicidio, accusato anche di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi e l’appuntato Francesco Suprano che dovrà rispondere di favoreggiamento, l’unico ad essere presente in aula nell’udienza lampo dello scorso 19 marzo. Il processo ora si sposta nell’ateneo cassinate per consentire la partecipazione degli operatori dell’informazione. Nel corso della prima udienza il Comune di Arce ha depositato la richiesta di costituirsi parte civile. Diverse le opposizioni, tra queste anche quella della difesa dell’appuntato Francesco Suprano, contro l’ammissione di tutte le parti civili, compresi i familiari della vittima.
Serena Mollicone scomparve la mattina del 1 giugno 2001. Uscita presto di casa per andare all’ospedale di Sora non fece più ritorno a casa. All’ora di pranzo il padre, Guglielmo Mollicone, maestro elementare e titolare di una cartoleria ad Arce, iniziò a preoccuparsi e nel pomeriggio denunciò la scomparsa ai carabinieri. Presero il via le ricerche e due giorni dopo il corpo della ragazza venne trovato vicino a un mucchio di rifiuti in un boschetto all’Anitrella. Serena aveva mani e piedi legati da nastro adesivo e fil di ferro e un sacchetto in testa. I grandi assenti ai lavori sono Guglielmo Mollicone, il papà di Serena scomparso il 31 maggio dello scorso anno e Santino Tuzi morto suicida l’11 aprile del 2008. Gli imputati hanno sempre dichiarato di essere estranei alle accuse mosse nei loro confronti dalla Procura. Un’indagine che è arrivata ad una svolta grazie anche al grande lavoro investigativo portato avanti dal procuratore capo Luciano d’Emmanuele e dal magistrato Maria Beatrice Siravo.